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Non importa quante cose abbiamo in comune con la persona che amiamo, ognuno di noi è un essere unico; non importa quanto ci amiamo, le differenze tra di noi causeranno talvolta dei conflitti. Vediamo insieme come affrontarli e superarli.



“Non importa quante cose abbiamo in comune con la persona che amiamo, ognuno di noi è un essere unico; non importa quanto ci amiamo, le differenze tra di noi causeranno talvolta dei conflitti. Ci sentiamo feriti o ignorati, risentiti o arrabbiati e le nostre discussioni spesso acuiscono il problema. Qualcosa deve cambiare e di solito vorremmo che a cambiare fosse il partner.” Questa introduzione al testo di Christensen, Doss e Jacobson, tradotto in italiano da Monica Dalla Valle e Nerina Fabbro e intitolato “Differenze conciliabili”, riassume in poche parole la situazione vissuta da chi sperimenta i conflitti nella coppia, descrive quali possano essere le cause che ne sono alla base e come potervi far fronte per evitare la degenerazione del rapporto o addirittura la rottura. Fasi evolutive della coppia Una volta scelta la persona “giusta”, la coppia percorre diverse fasi.

  • Prima fase: è caratterizzata principalmente dall’attrazione fisica,

  • Seconda fase: in questa fase entrano in gioco anche i sistemi di attaccamento e di accudimento reciproci e in parte legati ad una riattualizzazione del proprio stile di attaccamento coi propri genitori (Attili, 2007).

  • Terza fase: è quella dell’amore, in cui il rapporto si stabilizza e comincia a concretizzarsi maggiormente, per poi arrivare alla fase in cui prevalgono la routine quotidiana, l’impegno reciproco, la sicurezza affettiva e della presenza dell’altro. È soprattutto quando il rapporto si stabilizza che possono insorgere dei conflitti nella coppia, legati soprattutto alla percezione dei difetti e delle diversità dell’altro: ad una prima fase di idealizzazione del partner e del rapporto, segue una fase in cui emergono le differenze che talvolta appaiono appunto inconciliabili. Quando non si riesce a ritrovare un equilibrio e talvolta si aggiungono anche degli eventi stressanti, è possibile che il legame vada incontro ad una rottura che richiede un’elaborazione. La separazione infatti rappresenta la fine di un rapporto affettivo e vengono quasi ripercorse le fasi del lutto (Attili, 2004).

Alla base dei conflitti nella coppia, c’è dunque spesso un’azione o una mancata azione del partner e c’è una tendenza generale ad attribuire la responsabilità del conflitto al compagno/a e ad alcuni suoi tratti di personalità per noi considerati negativi o inaccettabili. Questo induce spesso delle accuse reciproche che impediscono di trovare una negoziazione o un modo funzionale per risolvere il conflitto in quella specifica situazione. Nel momento si perde di vista l’evento in sé che ha generato la discussione e ci si sposta su un piano di recriminazioni.

Cosa genera il conflitto Ciascun membro della coppia presenta delle vulnerabilità e dei punti sensibili spesso legati al proprio vissuto, alle relazioni coi genitori o alle precedenti relazioni coi pari o coi partner. Per questo se l’azione o la mancata azione dell’altro va a sollecitare tali punti deboli, questo ci rende vulnerabili o ci induce a contrattaccare. Dunque, è importante tener presente che la storia di vita e le vulnerabilità emotive di ciascuno entrano in gioco nelle relazioni di coppia e in particolare nelle situazioni di conflitto. Per questo, esserne consapevoli può essere un presupposto fondamentale. A queste vulnerabilità personali, possono poi aggiungersi degli eventi esterni stressanti sui quali possono focalizzarsi tutte le nostre attenzioni portandoci a perdere di vista il partner e le sue preoccupazioni. Se non vi è la consapevolezza di questi aspetti, spesso si ricorre a delle modalità comunicative disfunzionali che generano dei circoli viziosi e che tendono a stabilizzarsi nei vari conflitti. Tali strategie anziché risolvere il problema spesso lo fomentano e generano un’escalation emotiva in entrambi i partner. Il conflitto nella coppia Il conflitto può e dovrebbe rappresentare anche un’occasione di crescita per la coppia ma per esserlo è necessario che entrambi si impegnino a trovare una soluzione e a raggiungere un compromesso. L’obiettivo è che la soluzione raggiunta dai partner sia soddisfacente per entrambi. Non si tratta di vincere o perdere ma di creare una nuova dimensione per la coppia, in cui si impari a gestire le reciproche differenze e i punti di contrasto per scoprire quanto possa essere utile la cooperazione e la crescita congiunta. Come gestire il conflitto Per gestire correttamente un conflitto è necessario seguire costantemente delle piccole regole o consigli, che verranno applicati a seconda delle specifica situazione. Eccone alcuni:

  1. Accettare che non si può essere in accordo su tutto: è normale in una coppia avere delle idee diverse. Accettare che ci siano idee diverse non significa tradire il proprio sistema di valori.

  2. Esprimere i propri bisogni in maniera esplicita per evitare fraintendimenti: meglio comunicare usando prevalentemente frasi che iniziano con ‘io’ riferendosi esclusivamente ai propri bisogni e sentimenti, per evitare di far percepire accuse, mettendo il partner sulla difensiva.

  3. Usare un linguaggio chiaro e realistico dichiaratamente cosa ci sia aspetta dall’altro e dalla relazione

  4. Affrontare le discussioni: rimandare troppi confronti per paura del conflitto accumula risentimento e fa male alla coppia. Non affrontare il problema quando si presenta potrebbe bloccare le comunicazioni successive.

  5. Evitare di giudicare o screditare il partner mentre cerca di esprimersi o di interrompere la conversazione con frasi come: “tu hai fatto…”

  6. Interrompere il partner mentre parla o monopolizzare la discussione

  7. Dare un tempo limite alla discussione: se entro un tempo di mezzora non si è trovato un accordo o i toni emotivi tendono a esprimere troppa rabbia è bene interrompere la conversazione e a riprenderla in un secondo momento.

Se vuoi maggiori informazioni sul conflitto o se pensi di avere bisogno del consulto di uno specialista per comprendere come meglio gestire il conflitto nella coppia contatta il Centro per la Persona e la Famiglia. Dott.ssa Colzani Francesca Psicologa sistemico Relazionale Familiare

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Immagine del redattoreFrancesca Colzani

Come si sceglie il partner? Segui i consigli proposti nell'articolo per conoscerti meglio e scegliere il partner adatto



“Capitano tutte a me questo tipo di persone?”

“Non riesco più a fidarmi di nessuno, tanto so già come va a finire”

“Non mi voglio più impegnare, troppo rischioso”

“Come ho fatto a sposarti?”


Capita spesso di sentire queste frasi dalle persone che ci circondano, durante un aperitivo o una cena tra parenti, e sono considerazioni raggiunte a seguito di innumerevoli delusioni e altrettanti tentativi. Vero, la vita e le esperienze possono invitare a pensare in questo modo carico di sfiducia e impotenza ma la buona notizia è che questo, che sembra apparentemente un capolinea, può essere trasformato in un nuovo punto di partenza.

Vi siete mai chiesti come si sceglie il partner? Se pensate che il destino li conduca nella vostra vita per caso allora state guardando solo una piccola parte della realtà e state anche parecchio sminuendo le vostre risorse.

Partiamo dall’inizio…. per scegliere un buon partner bisogna conoscere ed analizzare con un po' di attenzione alcuni aspetti e seguire i consigli che ora vi elenco. Questi punti servono semplicemente a farvi ragionare su come avete agito finora cercando di scovare qualche elemento utile per potervi allenare al cambiamento e sentirvi meglio:


1. Che tipo di relazione vuoi?

La prima domanda che ti devi porre è se stai cercando una relazione seria o disimpegnata, perché i criteri nella valutazione possono cambiare. L’aspetto a cui è necessario dare maggiore attenzione è la sincerità con se stessi e di conseguenza anche con gli altri. Se vuoi una relazione seria ma hai paura di viverla nascondendoti dietro al fatto che non ti vuoi impegnare rischierai soltanto di confermarti che non vale la pena impegnarsi perché quel tipo di relazioni non si evolvono e spesso finiscono proprio perché il partner non ha altri obiettivi.


2. Sai perché le tue relazioni precedenti non hanno funzionato?

Usa le esperienze precedenti per capire onestamente cosa può essere accaduto. Va bene che le persone giuste sono poche ma non può trattarsi esclusivamente di probabilità. Ci sarà pur qualcosa che tu puoi fare attivamente per velocizzare e affinare la ricerca, altrimenti rischi davvero di non trovare mai più la famosa anima gemella. Chiediti cosa hai cercato in queste persone, se quello che hai ricevuto ti ha fatto stare bene o male, come ti sei sentita/o. Insomma, gioca un po' al detective e cerca di comprendere cosa c’era di buono che val la pena continuare a ricercare nell’altro e cosa invece non vorresti più. Ricordati, questa è la nuova bussola che devi utilizzare la prossima volta che incontrerai qualcuno che ti piace.


3. Ti conosci sufficientemente bene?

Sembra una domanda banale, ma non tutti sanno rispondere: sai chi sei? quali sono i tuoi punti di forza e le tue fragilità? Sai quali sono i tuoi obiettivi di vita?

Le risposte a queste domande rappresentano invece la mappa su cui ti devi orientare per utilizzare correttamente la bussola (si, quella che hai creato al punto precedente!). Spesso le coppie si rompono perché si chiede al partner di soddisfare un bisogno antico, che si è costruito nelle esperienze e delle relazioni precedenti, spesso in quelle genitoriali. E’ come se incolpassimo qualcuno ingiustamente o gli chiedessimo di restituirci qualcosa che ha rubato qualcun altro. È quindi indispensabile sapere che non possiamo chiedere al partner di compensare qualcosa che non ha causato. I traumi o le brutte esperienze del passato creano spesso delle mancanze talmente forti che nessuno riuscirà a ricucire. Solo voi, grazie alle vostre risorse, o attraverso un percorso di psicoterapia che vi aiuti a identificarli e neutralizzarli, potrete fare i conti con il passato e dedicarvi finalmente al presente con spensieratezza.


4. Legge della risonanza:

attiriamo ciò che siamo predisposti a vedere nella realtà intorno a noi. In effetti questo conferma due cose: che potremmo attrarre sempre lo stesso tipo di persone, ma anche che si può disattivare il meccanismo che lo determina perché a determinarlo sei proprio tu!

Il concetto è molto semplice: se una persona ha bisogno di sentirsi ascoltata e sostenuta dall’altro perché la vita gli ha confermato di non essere importante per gli altri, andrà a ricercare qualcuno che tenderà a metterlo/a al primo posto. Tu ti chiederai cosa ci sia di sbagliato in questo meccanismo, ma la verità è che alla lunga non funziona. Il trascorrere del tempo e le esperienze di vita fanno in modo che la dinamica compensativa che ha unito la coppia non è più sufficiente, riemergono le insicurezze di base in ognuno dei partner e lentamente la coppia si scioglie. Come si evita questo processo? Andando a identificare e completare i pezzettini emotivi individuali che ci portano a ricercare nell’altro qualcosa che a noi manca per primi.


Ti riconosci in uno di questi quattro punti e vorresti comprendere meglio come ricercare il partner giusto per te? Prenditi il tempo insieme ad uno specialista per conoscerti meglio e comprendere ciò di cui hai bisogno, perché solo partendo da una maggiore chiarezza interna riuscirai a identificare intorno a te le persone con cui poter stare bene.



Dott.ssa Francesca Colzani

Psicologa Sistemico Relazionale

Terapista EMDR

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L’effetto della pandemia sulla salute mentale, in particolare sui disturbi alimentari, si è fatto sentire: l’esordio dell’anoressia è più precoce, sono aumentate le richieste di aiuto e si sono acuiti i disturbi alimentari preesistenti.




I disturbi del comportamento alimentare sono sempre stati considerati una patologia specificamente adolescenziale, ma l’età d’insorgenza non deve essere confusa con le origini del disturbo.


Se l’adolescenza, infatti, costituisce un periodo di riorganizzazione fondamentale della struttura di personalità durante il quale è più probabile che il disturbo si manifesti, le sue basi spesso si collocano in una fase precoce dello sviluppo psichico, quando si stabiliscono specifiche configurazioni nell’ambito delle relazioni primarie.


Si tratta, quindi, di una fase della vita in cui i precedenti equilibri, a volte precari e sotto il segno della compiacenza, si spezzano quasi improvvisamente, e lasciano all’adolescente il compito di trovare sé stesso recuperando i pezzi della propria identità e mettendoli insieme in un modo nuovo e diverso.



I disturbi alimentari negli adolescenti

Le persone che avevano già sofferto in passato di anoressia, bulimia o disturbo da Binge Eating (disturbo da alimentazione incontrollata) hanno avuto delle ricadute, per lo più legate allo stress della pandemia e alle relative conseguenze nella vita di tutti i giorni in ambito scolastico e relazionale. Anche chi non soffriva di questo genere di disturbi ha iniziato a svilupparli, soprattutto tra gli adolescenti. È infatti aumentato del 30% il numero di ragazzi che hanno sviluppato questo tipo di patologie durante l’ultimo anno.



Che cos’è l’anoressia nervosa e come si manifesta

L’anoressia nervosa è una patologia molto seria che colpisce principalmente il sesso femminile, il 90% sono donne tra i 15 e i 25 anni d’età e si manifesta con:


  • terrore di ingrassare;

  • rifiuto del cibo;

  • allenamento smodato;

  • importanti cambiamenti nell’umore.

La parola chiave è ‘controllo’. Nell’anoressia, infatti, al di là del mangiare poco, le giovani ragazze si concentrano sulla dieta esercitando una forma di controllo ossessivo del cibo che promuove una sensazione generalizzata di gestibilità di ciò che accade e si deve affrontare. Tale meccanismo ha l’obiettivo di compensare una componente emotiva e relazionale, legata alla identificazione di sé e alla separazione di propri genitori non ancora chiara, consapevole e correttamente avviata.



I campanelli d’allarme

Solitamente, l’anoressia arriva tardi all’attenzione del medico, perché i primi sintomi anoressici evolvono lentamente; tuttavia, è bene segnalare che, dall’inizio della pandemia, l’evoluzione della malattia è più rapida, accelerando nella fase iniziale.



L’attenzione dei genitori dovrebbe essere sempre alta senza sottovalutare le situazioni poco chiare. Sono proprio i genitori a rappresentare la risorsa principale nell’identificazione precoce di questo tipo di disturbo attraverso l’osservazione di alcuni specifici comportamenti. Tipicamente, chi inizia questo percorso patologico, mostra:

  • pone molta attenzione al cibo, eliminando i cibi più grassi e impoverendo sempre di più la propria dieta;

  • mentre mangia, diventa più silenzioso ed estremamente concentrato;

  • pone un’eccessiva attenzione al corpo e all’aspetto fisico che porta a guardarsi allo specchio in modo diverso”.


Come curare l’anoressia: l’importanza della multidisciplinarietà

L’anoressia è una patologia che deve essere curata grazie alla collaborazione dei familiari e ad un intervento multidisciplinare che coinvolga alcuni specialisti nell’ambito medico sanitario: neuropsichiatra infantile, dietista/nutrizionista e psicoterapeuta. Il lavoro coordinato di queste tre figure permette di impostare e promuovere un intervento che identifichi le cause di tale fatica e promuova la tutela psicofisica del/della paziente. Le aree emotiva e relazionale sono spesso all’origine di questo tipo di disturbi quindi è fondamentale indagare e promuovere le risorse in questi due ambiti.

Se il/la paziente ha una situazione fisica notevolmente compromessa è necessario procedere al ricovero in strutture ospedaliere specializzate. Il percorso di cura può essere lungo e complesso. L'anoressia nervosa infatti, ad esempio, richiede spesso un ricovero prolungato, dalle 4 alle 6 settimane, per ripristinare il peso e stabilizzare dal punto di vista medico e psichiatrico il/le paziente/i.


Per le situazioni meno compromesse e dove l’esordio della patologia risulta recente, è possibile procedere con interventi specialistici presso centri privati come il Centro per la Persona e la Famiglia, dove è presente un’equipe specializzata in questi tipi di disturbi. Questo permette ai pazienti e alla famiglia di non dover precedere necessariamente ad un ricovero e ad un’alterazione significativa delle abitudini di vita.



Dott.ssa Colzani Francesca

Psicologa sistemico relazionale familiare

Terapista EMDR

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