La dipendenza da videogiochi o Gaming Disorder: Quali sono i sintomi? Sono a rischio anche bambini e adolescenti?
L’adolescenza è un periodo fondamentale nella formazione dell’individuo. La transizione psicologica e neuro-biologica che caratterizza questa fase darà poi forma al cervello adulto. Durante questo periodo il cervello si modella, si definiscono le reti di connessione neurale che consentono all’individuo di acquisire competenze cognitive, emotive, relazionali e affettive, che rimarranno stabili per il resto della vita. La salute mentale è tra i capisaldi del benessere individuale.
Le malattie psichiche hanno importanti ripercussioni sul funzionamento individuale e sulla qualità di vita non solo della persona che ne è afflitta ma anche della società. Gli adolescenti sono particolarmente esposti ai fattori che possono favorire l’esordio e il mantenimento di tali patologie. Oltre ai fattori ben noti (droghe, stress, maltrattamenti e violenza, abusi), anche la tecnologia gioca un ruolo importante. Oggi, in Italia, circa 8 milioni e 200mila giovani tra i 12 e i 25 anni crescono in un mondo in cui al centro c’è la tecnologia digitale e per tale motivo sono definiti “nativi digitali”. Quasi il 95% tra 14 e 19 anni utilizza internet. 300mila giovani tra 12 e 25 anni soffrono di dipendenza da internet. Circa il 10% si dichiara insoddisfatto della vita, delle relazioni sociali (comprese quelle familiari) e della salute, e vivono difficoltà emotive, con prevalenza di forme depressive o ansiose. Una percentuale compresa tra l’1 e il 4% accusa problemi derivati dall’utilizzo della tecnologia. Gli adolescenti sviluppano dipendenza tre volte più degli adulti.
Numerosi studi scientifici hanno dimostrato che l’utilizzo eccessivo di smartphone, gaming, internet e social network provoca effetti sullo sviluppo cerebrale. In particolare, negli adolescenti con dipendenza marcata da smartphone sono state osservate modificazioni della materia bianca (prevalentemente dei fasci di connessione cortico-subcorticali) simili, almeno in parte, a quelle riscontrate in soggetti con dipendenza da internet. Alcuni studi hanno segnalato ad esempio, un peggioramento sintomatologico nei bambini e negli adolescenti affetti da Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD). Diversi studi hanno analizzato gli effetti cognitivi dell’esposizione al gaming e hanno mostrato che i videogame migliorano l’attenzione visiva e la coordinazione, ma inducono a comportamenti impulsivi e aggressivi.
La dipendenza da videogiochi è quindi riconosciuta come una malattia vera e propria, con sintomi definiti e la necessità di una terapia.
Young (1998) e Griffiths (1998, 2000) sono stati i primi a proporre una definizione di “utilizzo problematico di Internet” o “dipendenza da Internet” (in inglese “Internet Addiction Disorder”, in acronimo IAD), conducendo diverse ricerche sul tema e definendola: l’insieme delle preoccupazioni, degli impulsi e dei comportamenti eccessivi o scarsamente controllati che scaturiscono dall’uso della Rete e che comportano alterazioni comportamentali o stressanti.
Nel DSM-5, la diagnosi di IAD, è definita come un comportamento ricorrente e persistente che porta a stress o a un peggioramento significativo.
Rientra tra le dipendenze da IAD, la dipendenza da videogiochi, nello specifico “Internet Gaming Disorder” che comprende la dipendenza da videogiochi sia online ed offline. Va detto che l’Internet Gaming Disorder è l’unica altra dipendenza comportamentale inserita, assieme al gioco d’azzardo patologico, nella sezione 3 del DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013).
Quali sintomi?
La manifestazione più evidente di questa patologia è la centralità che i videogiochi assumono nella vita di una persona: tutto ruota attorno al bisogno di giocare e all’incapacità di interrompere tale comportamento. Si possono manifestare inoltre alterazioni dell’umore – ad esempio un’alternanza tra stati d’euforia e d’eccitazione, stati d’apatia quando si è lontani dalla consolle– e il fatto che, quando non si può giocare, si sviluppa cattivo umore e irritabilità.
Possono subentrare anche sintomi più gravi, che si manifestano a livello fisico: cefalee, attacchi epilettici, ansia, depressione, perdita d’appetito, dimagrimento eccessivo. La fascia più a rischio rispetto allo sviluppo di questo tipo di patologia, riguarda soprattutto i ragazzi tra i 12 ai 16 anni, particolarmente sensibili ed orientati all’utilizzo della strumentazione tecnologica.
Cosa fare?
Partendo dal presupposto che possono verificarsi ovunque casi come quelli descritti, bisogna essere molto cauti nel comprendere ed agire preventivamente nei confronti di un tale fenomeno. Se la situazione però, sfugge di mano, è importante agire. Come?
1. Innanzitutto osservare come il proprio figlio reagisce agli stimoli che il videogioco offre. Ha disturbi del sonno? Inverte il ciclo giorno/notte? È più aggressivo o nervoso? Ha un calo dei risultati scolastici? È presente una diminuzione di attività sportive o ricreative? Quando si manifestano questi sintomi, il videogioco rappresenta un rifugio per fuggire da altre incombenze, da una realtà dolorosa o da una sofferenza fisica o psichica. Insomma, anche se non si è esperti del settore, osservare e monitorare la situazione può aiutare a prevenire comportamenti deleteri per la vita quotidiana.
2. Può avere senso interessarsi dei videogiochi, diventare partecipi di un qualcosa che magari non si comprende fino in fondo, giocando con i proprio figli con il fine di promuovere il dialogo ed il gioco narrativo, a spese di quello senso-motorio
3. Se esiste una dipendenza già riconosciuta, è importante rivolgersi ad un esperto psicologo che possa fornire alla famiglia consigli e mettere in atto un programma per ridurre l’uso dei videogiochi, ricorrendo per esempio a dei timer e avvisi che blocchino le partite dopo un certo numero di ore, e promuovendo attività di passatempo alternative da fare insieme, senza che nulla sia lasciato al caso.
Quali sono le cure ad oggi esistenti? Gli approcci per gestire l’uso patologico del web sono sostanzialmente gli stessi impiegati per gli altri tipi di dipendenza, e comprendono la psicoterapia, volte alla gestione degli impulsi e all’abitudine cui non si può rinunciare. L’intervento psicoterapeutico deve ridurre gradualmente il comportamento patologico, ma, al contempo, individuare delle alternative, sufficientemente gratificanti, che possano sostituirlo, aiutando il soggetto a superare le eventuali difficoltà socio-relazionali. Di solito, non è prevista la prescrizione di psicofarmaci, salvo nei casi in cui vi sia associato un importante livello di depressione. Il primo passo nel percorso terapeutico coinvolge quindi spesso i genitori, soprattutto nel caso in cui il giovane sia resistente o poco consapevole alla necessità di cura.
Dott.ssa Colzani Francesca
Psicologa Sistemico Relazionale Familiare
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